Riproduzione riservata tratta da Avv. Giusy Sgrò; luglio 2022 Il caso: Il Tribunale rigettava la domanda proposta dalla condomina Tizia nei confronti del condominio per ottenere la dichiarazione di nullità, illegittimità e comunque l′annullamento di una delibera condominiale nella parte in cui risultavano approvate a maggioranza nuove tabelle millesimali, con conseguente nullità, illegittimità e comunque invalidità della delibera di ripartizione del preventivo delle spese generali per l′anno 2009/2010, con l′attribuzione di nuovo valore millesimale all′unità immobiliare di Tizia. L′esame: Il giudice di prime cure rilevava che con la delibera impugnata erano state approvate le nuove tabelle di gestione, ricalcolate in forza delle modifiche apportate da Tizia alla sua proprietà e si limitava a riconoscere che le operazioni di calcolo effettuate dal tecnico incaricato dal condominio erano conformi ai criteri codicistici. Dunque, era legittimo il potere esercitato dall′assemblea, volto a percepire adeguati contributi di spesa alla conservazione e godimento delle parti comuni, fermo restando il diritto del condomino dissenziente di impugnare tale delibera, al fine di dimostrare eventuali vizi di eccesso o abuso di potere della delibera. Secondo il Tribunale, tale prova era, però, mancata. giudici di merito rigettavano quindi l′appello proposto da Tizia e condannavano quest′ultima al pagamento delle spese processuali del grado. In particolare, la Corte territoriale osservava che l′appellante aveva solo censurato la diversità del criterio utilizzato in sede di modifica delle tabelle rispetto a quello originario (superficie catastale/superficie reale). Dunque, la violazione del principio del valore proporzionale delle quote non era stata provata dalla condomina. A questo punto, Tizia si rivolgeva alla Suprema Corte, lamentando, in particolare, la nullità della sentenza per error in procedendo in relazione all′art. 112 del Codice di Procedura Civile. Secondo la ricorrente, la modifica deliberata nel 2009 si era limitata a incidere esclusivamente sulla sua proprietà, senza considerare le altre e rapportando i metri quadri catastali della stessa unità immobiliare a quella di altre le cui schede non indicavano il dato della loro estensione in metriquadri, ma soltanto il numero dei vani. Dunque, i parametri di valutazione erano non omogenei. Nel momento in cui il condominio utilizzava per alcune unità immobiliari l′unità di misura della consistenza rapportandola al vano, introduceva un duplice criterio di ripartizione differente da quello originario, utilizzato per le tabelle allegate al regolamento, ossia la superficie reale. I giudici di piazza Cavour, accogliendo la suddetta censura, stabilivano che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per impossibilità giuridica dell′oggetto ove l′assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere - oltre che per il caso oggetto della delibera - anche per il futuro; mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato. Secondo gli Ermellini, le attribuzioni dell′assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall′art. 1135, nn. 2 e 3, cod. civ., alla verifica ed all′applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l′art. 1123 cod. civ. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio.